Favignana è il vero regno del tonno nel Mediterraneo, dove tutti i ristoranti ne fanno il piatto principe.
Qui la mattanza fa parte della cultura degli abitanti ed è scritta e raccontata sui volti della gente che l’ha vissuta.
La Tonnara di Favignana ufficialmente denominata Ex Stabilimento Florio è un’antica tonnara con annesso stabilimento per la lavorazione e conservazione del tonno sita a pochi passi dal porto di Favignana. Mentre ci si avvicina in barca al porto impossibile non notare l’architettura di questo maestoso complesso, costituito da grandi archi e altissimi soffitti quasi a ricordare una cattedrale. Il complesso è stato trasformato in Museo aperto al pubblico. È un pezzo di storia di questa isola e della famiglia Florio. Per calarsi nel contesto di Favignana bisogna assolutamente passare di qui, visitare le stanze del tonno e ascoltarne la storia con una visita guidata.
La mattanza è un antico, tradizionale metodo di pesca del tonno rosso.
Per un turista potrebbe essere considerata come una pratica di pesca barbara.
In realtà dietro a questa pratica, oggi ormai quasi estinta, si nascondevano dei forti contenuti storici, sociali e culturali non solo economici.
Il lavoro dei tonnaroti iniziava in aprile quando venivano poste in mare, tra Favignana e Levanzo, una serie di reti che potevano raggiungere anche i 4 o 5 km di lunghezza di percorso a formare la varie “camere” delle vere e proprie trappole.
I tonni scendono lungo il Tirreno fino a raggiungere le coste siciliane dove incontrano le condizioni ottimali per riprodursi ed iniziano ad addentrarsi sempre più nelle maglie interne fino ad arrivare alla cosiddetta “camera della morte”, l’unica rete chiusa sul fondo.
La mattanza è solo la parte terminale di questa complessa “macchina” da pesca.
Una volta giunti nella camera della morte, le barche dei pescatori si dispongono in cerchio e agli ordini del Rais a ritmo di canti, le cosiddette cialome, iniziano la mattanza: con la sola forza delle braccia, cominciano a sollevare le reti, costringendo i tonni ad affiorare in superficie. Qui iniziano a dibattersi violentemente l’uno contro l’altro mentre vengono arpionati e tirati sulle barche, tingendo il mare di rosso.
L’ultima mattanza di Favignana si è svolta nel 2007.
LA CIALOMA
La”cialoma” (o “sciloma”) è il canto siciliano della mattanza. Deriva da antichissimi canti popolari di origine araba che scandiscono il ritmo dei movimenti dei tonnaroti, che le intonano prima, durante e dopo la mattanza del tonno. Canti e rituali propiziatori, una melodia ritmata, quasi una cantilena che tutti cantano assieme per darsi il ritmo e per scandire i colpi. Un rito dentro un rito che va tramandandosi di padre in figlio da generazioni.
Questo canto echeggia ancora grazie a uno che la mattanza l’ha vissuta in prima persona, u zu’ Peppe, Giuseppe Giangrasso, pronto a liberare le sue potenti corde vocali davanti ai visitatori dell’ex tonnara Florio di Favignana. Vi accompagnerà per la Tonnara al canto di Aiamola (una delle più note) o di Gnazù o Lina Lina.
A seguire un video sulla storia della mattanza sull’isola di Favignana di Tullio Fortuna dove potrete ascoltare le cialome cantate dai pescatori in coro, dove è possibile rendersi conto in cosa consistesse veramente il rito della mattanza. Alcune foto potrebbero per alcuni risultare cruente, consiglio la visione ad un pubblico adulto. Buona visione e buon ascolto.
Sicilia. Tonnara di Granitola 1955 – La descrizione della mattanza
Alle prime luci incerte dell’alba, i pescatori sulle barche si avviano verso il largo ritmando con canti sommessi il battito dei remi. Recita una scritta in sovrimpressione: “Al largo delle coste siciliane gli uomini attendono i tonni che, da millenni, seguono una rotta sempre uguale. Quando nella rete affiora il tributo del mare, torna a ripetersi l’alterna vicenda della vita e della morte”. Tra gli incitamenti, dispongono le reti in mare, regolano i cordami, organizzano il quadrato delle barche. Preparano meticolosamente il lavoro. Attesa. Chi fuma, chi dorme sul bordo della barca, chi ripara una rete. Alcuni mangiano qualcosa su imbarcazioni ondeggianti. Silenzio, sciacquio del mare. Un pescatore scruta la superficie dell’acqua attraverso cui s’intravedono già i tonni. Volti tesi, corpi fissi e pronti a scattare. Un grido e esplode il lavoro. Lanciano corde, al canto di melodie ritmate. Da una barca il rais dirige le operazioni. Si chiude la “camera della morte”. Il mare si fa sempre piè schiumoso via via che le reti sono tirate su. I tonni guizzano, sbattono le code. Finchè lo schermo si riempie della schiuma bianca, di violenti getti. Controcampo, le schiene inarcate dei pescatori. La fatica degli uomini si fa sempre piè dura. Fragore di voci. Ritmo ossessivo di canti, di gesti, di incitamenti. Primi piani concitati. Il cerchio delle barche si stringe. Un grande tonno è issato a bordo; gli uomini cercano di tenerlo con la fiocina. Si dimena disperatamente, con violenti colpi di coda sulle braccia, sulle reni dei pescatori. Le acque si tingono di sangue. Via che i tonni si ammucchiano sulle barche, scivolando uno sull’altro, il mare si fa sempre piè rosso. La pesca è finita, terribile e mortale rito. Gli uomini, allineati in piedi sulle barche, si levano il cappello e alzano un ringraziamento collettivo a “Jesu”. Ultimi sussulti dei tonni in agonia, che gli uomini rinfrescano. La giornata si è conclusa. Si levano le ancore, le barche rientrano, controluce a un sole al tramonto, in fila, trainate da un rimorchiatore. Vocio sommesso, lo sciacquio del mare, appena il rumore sordo, lontano del motore. (fonte: cinemambiente.it)
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